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I veicoli elettrici, l’energia solare ed eolica e le batterie sono tre dei protagonisti della transizione energetica sui quali le nazioni devono investire per ottenere le emissioni zero entro il 2050, e tutti questi protagonisti hanno bisogno di rame. Risulta quindi importante conoscere quali siano i principali Paesi produttori e quali potrebbero essere gli scenari futuri. Attualmente oltre un quarto della produzione mondiale di rame proviene dal Cile. A seguire, con circa il 10% si trova invece il Perù. Rimangono importanti per la produzione anche Cina, Stati Uniti e Congo. Le principali aziende produttrici del rame sono la società cilena Codelco, seguita dalle “major” internazionali Bhp, Freeport, Glencore e Southern Copper. In particolare risulta interessante anche osservare più nel dettaglio il ruolo della Cina; quest’ultima infatti consuma più della metà del rame raffinato prodotto a livello mondiale e la sua domanda è aumentata di otto volte negli ultimi quattro decenni. L’attività manifatturiera cinese, quindi, è inevitabilmente un fattore chiave per i prezzi del rame anche se è rimasta in contrazione da agosto a dicembre dello scorso anno. Inoltre i sussidi cinesi ai produttori di veicoli elettrici (Ev) hanno dato vita a un’industria in piena espansione, al punto che BYD, una delle principali aziende automobilistiche cinesi,  è ora in forte competizione con Tesla per una quota predominante di mercato a livello mondiale. Per comprendere meglio l’importanza della materia prima, si consideri che un veicolo elettrico a batteria può richiedere una quantità di rame da tre a quattro volte superiore a quella di un veicolo con motore a combustione interna di simili prestazioni. A livello globale il rame per “usi ecologici” invece rappresenta appena il 6% dei consumi attuali, mentre le quote maggiori sono riconducibili all’edilizia (29%), alle reti elettriche “tradizionali” (27%) e ai prodotti di consumo (22%). Secondo gli analisti però la domanda di rame raddoppierà quasi a 40 milioni di tonnellate entro il 2035, mentre prima del 2050 toccherà le 53 milioni di tonnellate. Si tratta di una quantità equivalente a quella che è stata prodotta tra il 1900 e il 2021. Più nello specifico si prevede che il rame necessario per veicoli elettrici, per la produzione di energia elettrica, tramite l’eolico e il solare, e per le batterie triplicherà entro la metà del prossimo decennio.

Negli ultimi decenni i Paesi emergenti hanno registrato un’importante crescita economica e sociale, diventando una delle principali forze trainanti dell’economia globale. Questi Paesi, che comprendono nazioni come Cina, India, Brasile, Sud Africa, Indonesia e Messico, stanno diventando sempre più importanti per gli investitori, grazie alla loro crescita economica relativamente superiore a quella dei Paesi sviluppati e al loro elevato potenziale di sviluppo infrastrutturale. In secondo luogo, molti Paesi emergenti dispongono di risorse naturali importanti, come petrolio, gas e minerali, che possono rappresentare una fonte di reddito a lungo termine; tuttavia la loro dipendenza dalle materie prime può portare anche ad una forte volatilità del valore delle esportazioni.  In Africa, con riferimento al periodo 2018-2019, su 54 Paesi, 45 sono fortemente dipendenti dalle esportazioni di commodities. Ad esempio, le materie prime valgono circa il 60% dell’export per il Sud Africa e più dell’80% per Botswana e Namibia. Nel seguente grafico si mostra l’andamento dell’indice Msci Emerging Markets rispetto all’Msci World (indice dei paesi sviluppati) e Msci Acwi (che contiene tutti i Paesi).

Il rendimento è stato inferiore nel periodo dal 2008 al 2023, ma allargando l’orizzonte temporale al 2001, l’indice dei mercati emergenti ha reso un 7,79% annualizzato rispetto 5,74% di quelli sviluppati. Le aspettative del consensus contemplano una ripresa degli utili nei mercati emergenti nel 2023, dopo un drastico calo nell’anno passato. La riapertura della Cina e una ripresa dell’economia dovrebbero presumibilmente trainare gli utili, soprattutto nei settori della finanza e dei beni di consumo. Anche le obbligazioni dei Paesi emergenti possono offrire rendimenti nominali più elevati rispetto a quelle dei Paesi sviluppati (ad esempio i Titoli di Stato a 10 anni di Brasile, Cina e India rendono rispettivamente il 13%, 3% e 7.5%). Questo perché, generalmente, i bond governativi, e contestualmente anche societari, di Paesi come Brasile o India sono considerati meno sicuri rispetto a quelli americani o tedeschi e di conseguenza il rendimento risulta maggiore. Tuttavia, bisogna tenere a mente il rischio di cambio se le obbligazioni sono emesse in valuta locale, che può avere effetti molto importanti sul rendimento finale dell’investimento. Oltre a questo, può accadere che i titoli di Paesi emergenti siano meno liquidi dei Paesi sviluppati, presentando dunque uno spread maggiore ed una maggiore volatilità. (Ns Partners)

 

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