L’a centrale di Ratcliffe-on-Soar, con il suo camino alto 199 metri, avrebbe dovuto chiudere nel 2022, ma la società che lo gestisce aveva rimandato a causa della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina.
Inaugurata nel 1882, fu la prima centrale a carbone del mondo.
Circa 100 dei 170 lavoratori della centrale si occuperanno della dismissione, che richiederà più o meno due anni.
Il Regno Unito è diventato il primo paese del G7 ad abbandonare il carbone, di contro, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), informa che il consumo di carbone nel mondo ha superato per la prima volta gli 8,5 miliardi di tonnellate. Un dato che dovrebbe calare da qui al 2026, ma a un ritmo insufficiente per rispettare l’accordo sul clima di Parigi.
Nel 2023 la metà del consumo mondiale avveniva in Cina, dove rappresenta il 61% della fornitura di energia e il 71% della produzione sul territorio nazionale. In India, secondo paese al mondo per consumo, le quote sono del 46% e del 52%. Per via del generale aumento della domanda e dello scarso contribuito dell’idroelettrico, entrambi i paesi hanno incrementato l’uso del carbone nel 2023: +8% per l’India, +5% per la Cina.
Il terzo consumatore di carbone al mondo e il primo occidentale sono gli Stati Uniti che, assieme agli altri paesi del G7, si sono impegnati quest’anno ad abbandonare il carbone entro il 2035.
La scadenza del 2035 non dovrebbe essere un problema, oltre che per il Regno Unito, per altri tre membri del forum, che già ricavano dal carbone una minima parte dell’energia: il Canada si è impegnato ad abbandonare il carbone ‘unabated’ entro il 2030, in Francia il presidente Emmanuel Macron vuole convertire le ultime centrali a carbone alle biomasse entro il 2027, l’Italia dovrebbe chiudere gli ultimi impianti a carbone entro tre anni.
Germania e Giappone, invece, avranno bisogno di una trasformazione rapida per rispettare l’accordo. Entrambi dipendono dal carbone più degli Stati Uniti: per il Giappone è il 26% del mix energetico, per la Germania il 17,7% (e il 27% della produzione interna).
In particolare il Giappone negli ultimi anni ha investito molto sul carbone, dopo che il disastro di Fukushima del 2011 ha frenato il suo programma nucleare.
Il Giappone produce entro i propri confini solo il 12,1% dell’energia e ha dovuto aumentare l’acquisto di combustibili fossili dall’estero. Solo nel 2023 ha aperto due nuove centrali a carbone.
In Italia ci sono ancora quattro centrali a carbone attive.
Negli ultimi anni diversi impianti hanno smesso di produrre energia tramite carbone e, secondo i dati del Gestore dei Servizi Energetici, rappresenta solo il 5,27% del mix energetico italiano. La quota è diminuita rispetto all’8,34% del 2022 e dovrebbe scendere ancora nei prossimi anni: in primavera il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato che l’Italia non userà più carbone per produrre energia elettrica sul continente dopo il 2025, mentre in Sardegna smetterà nel 2027.
Leggi anche il nostro testo sulla dismissione del carbone in Svezia:
https://relazioninternazionali-tribuna.com/aprile-2020-la-svezia-ha-detto-addio-al-carbone/