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Italia-Turchia, rapporti economico commerciali tradizionalmente stretti e in fase di espansione

Di Marco Pintus, Direttore Agenzia Ice, Ufficio di Istanbul Per la Turchia, l’Italia è un partner commerciale di primo piano e un investitore significativo. Uno sguardo alla graduatoria dei principali fornitori della Turchia rivela la presenza in cima di Cina (quota 13,1%), Russia (12,8%), Germania (7,8%) e, al quarto posto, dell’Italia (5,6%), che ha scalato ben due posizioni nel 2024, collocandosi sopra a Stati Uniti (4,7%), Francia (3,6%), Svizzera (3,3%), Spagna e Corea del Sud (2,7% entrambe). Nel 2024 la quota italiana è cresciuta nettamente, da 4,1 a 5,6 percento: in effetti, se nel 2024 il valore dell’import generale turco è calato (-5%), gli acquisti dal nostro paese hanno invece fatto registrare un balzo notevole, tanto più sorprendente se messo a confronto con le performance quasi tutte negative dei primi dieci fornitori della Turchia.

Analizzando i dati diffusi dall’Istat, notiamo anzitutto che nel 2024 l’interscambio Italia-Turchia ha toccato il massimo storico, fermandosi poco al di sotto del tetto dei 30 miliardi di euro. E’ questo il quarto anno consecutivo che il valore complessivo degli scambi fra i due paesi fa segnare un record. Nel 2024 sono state le esportazioni italiane, in particolare, a dare il contributo più consistente a tale espansione, grazie a un aumento del 23,9%, da 14,2 a 17,6 miliardi di euro, mentre la crescita delle nostre importazioni dalla Turchia, che hanno superato per la prima volta i 12 miliardi di euro, si è fermata a un +4,4 per cento. L’exploit dell’export italiano, di per sé notevole anno su anno, diventa ancora più significativo se collocato in prospettiva storica, considerando che è stato raggiunto un valore più che doppio rispetto al dato pre-Covid (8,3 miliardi nel 2019).

La Turchia si colloca così al 10° posto nella graduatoria dei principali mercati di sbocco dell’Italia, con una quota pari a 2,77% – nettamente superiore, per inciso, a quella di altri mercati di primo piano come Cina (2,44%), Giappone  (1,31%), Eau (1,23%), Corea del Sud (0,99%), Canada (0,97%), Brasile (0,90%), India (0,81%), o Russia (0,69%).

Va detto che l’eccezionale risultato italiano si inquadra nel contesto di forte incremento delle importazioni turche dal mondo seguito agli sviluppi geopolitici avvenuti all’inizio del 2022, che hanno esaltato il ruolo di hub geografico-logistico della Turchia. Nel 2022 e 2023, non a caso, si è registrata una crescita massiccia delle importazioni turche: da 271 miliardi Usd nel 2021 a più di 360 miliardi nei due anni successivi, toccando il massimo storico per i paese, che è così salito al 18° posto nella graduatoria mondiale degli importatori. Ma si è assistito a un aumento anche delle esportazioni, tanto che il valore complessivo del commercio estero turco nel 2022 è arrivato a totalizzare 618 miliardi di dollari rispetto ai 497 miliardi del 2021 (+25% in un solo anno). Sia pur con lievi flessioni, la situazione non è sostanzialmente cambiata nel 2023 (617 miliardi) e 2024 (606 miliardi).

Tornando all’Italia, balza all’occhio come, rispetto al 2021, il valore delle nostre esportazioni in Turchia sia cumulativamente aumentato dell’85 per cento nel 2024. Un aumento tanto consistente si spiega in parte con la riesportazione verso altre destinazioni finali, grazie al ruolo di hub geografico-logistico del paese, ma emerge anche un fattore nuovo, ossia il forte riapprezzamento della lira turca in termini reali (41% dal 2021 sulle principali valute), che ha più che compensato il rincaro delle importazioni dovuto a una pesante svalutazione nominale della lira turca.

L’eccezionale risultato conseguito dall’export italiano nel 2024 è essenzialmente dovuto a un enorme aumento delle vendite nel comparto della gioielleria/oreficeria, salite a 5,2 miliardi di euro rispetto ai 931 milioni rilevati nel 2023. Tali flussi, comunque, non possono che avere carattere eccezionale, ed è bene evidenziare che, da un punto di vista strutturale, un quarto circa delle nostre esportazioni in Turchia è costituito da meccanica e beni strumentali: si tratta soprattutto di macchine utensili per la lavorazione dei metalli, macchine tessili (la Turchia è terzo importatore mondiale e nostro secondo mercato di sbocco), macchine agricole, macchine per confezionamento e imballaggio, per sollevamento e movimentazione, per la metallurgia e così via. Sono, in sostanza, quegli stessi beni d’investimento di cui si parlava sopra e che servono all’equipaggiamento e potenziamento tecnologico dell’industria turca.

Un altro 10% circa del nostro export ricade nel comparto degli autoveicoli, includendo anche motori e altre parti e accessori. Altri comparti di notevole impatto sono la chimica (quota del 9% sul nostro export), la metallurgia (6%) e le apparecchiature elettriche (5%). In generale, va evidenziato che – a parte il caso eccezionale della gioielleria nel 2024 – le quote sul nostro export in Turchia dei beni di consumo tipici del Made in Italy sono tradizionalmente ridotte: pelletteria 2,3%, abbigliamento 2,2%, prodotti alimentari 1,5%, arredamento 0,8%, bevande 0,3%. Ciò per ragioni varie: anzitutto, la Turchia è un paese anch’esso manifatturiero, con prodotti di buona qualità media, che non ha peraltro un reddito pro capite sufficientemente alto per generare una domanda consistente di beni di lusso. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, entrano in gioco evidentemente le tradizioni culturali, che impediscono o non favoriscono il largo consumo di particolari beni (carni suine o bevande alcoliche, queste ultime colpite da una pesante imposizione fiscale).

Per quanto riguarda le importazioni italiane dalla Turchia, si è già evidenziato che l’Istat ne situa il valore a 12,1 miliardi di euro nel 2024 (+4,4% sul 2023). I nostri acquisti dal partner mediorientale sono più che raddoppiati nell’arco di un decennio, dato che si situavano a 5,7 miliardi di euro nel 2014: ad eccezione del 2020 di crisi globale e di una leggera flessione nel 2022 (-5,7%), le importazioni hanno immancabilmente fatto segnare una variazione positiva sull’anno precedente, con un record di 12,3 miliardi nel 2022.

Esattamente un quarto del totale importato si addensa nel comparto “autoveicoli”, con una preponderanza di autoveicoli da turismo, per trasporto merci e parti e accessori. Inoltre, incidono notevolmente i prodotti della metallurgia (10% circa) e principalmente acciai, rame e alluminio. Hanno un peso del 6-7% circa ciascuno le apparecchiature elettriche – soprattutto elettrodomestici bianchi, gli articoli di abbigliamento, i prodotti chimici e tessili. Non manca l’apporto del comparto agricolo (5% circa), soprattutto con frumento e nocciole.

Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri (Ide) in Turchia, va premesso che essi sono in gran parte (75%) di origine europea, con Germania, Regno Unito e Paesi Bassi in primo piano, mentre per le altre aree geografiche di provenienza incidono soprattutto i capitali statunitensi. Non manca il contributo italiano: il 3-4% circa dello stock Ide totale fa capo a società del nostro paese, per un valore di circa 6 miliardi di euro. La nostra presenza in Turchia conta centinaia di aziende partecipate o a capitale interamente italiano.

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