Negli ultimi anni la domanda per i private assets conosciuti anche come mercati privati, ha visto un vero e proprio boom. Secondo McKinsey Global Private Markets Review, il patrimonio globale di questi investimenti alternativi ha raggiunto nel 2022 11.700 miliardi di dollari, sfoggiando un tasso di crescita annuo di quasi il 20% dal 2017. Nell’ultimo sondaggio «Global Fund Selectors Outlook Survey» di Naixis Im scaturisce che la domanda di private equity (55%) e di private debt (57%) continua a essere ampiamente positiva.
Il «private equity» è una forma d’investimento diretto nel capitale di aziende non quotate caratterizzate da elevato potenziale di crescita*, mentre il «private debt» fa riferimento a finanziamenti di tipo alternativo, rappresentati da prestiti concessi tipicamente a piccole e medie imprese non quotate. Del 79% degli investitori che si affidano al private equity, l’88% prevede di mantenere (49%) o aumentare (39%) la propria esposizione. Il panorama dei mercati privati è completato da un’altra componente, quella delle infrastrutture e del mercato immobiliare, che consente a sua volta di investire nell’economia reale di uno o più Paesi.
Si tratta di opportunità d’investimento non disponibili attraverso i classici mercati finanziari, con peculiarità non adatte a tutti gli investitori: negli assets tradizionali, negoziati in mercati regolamentati, le società raccolgono denaro emettendo azioni e obbligazioni che vengono quotate sul mercato dove possono essere agevolmente negoziate a prezzi trasparenti, grazie all’incrocio continuo tra domanda e offerta di titoli; al contrario, vengono acquistati e venduti al di fuori dei tradizionali circuiti di negoziazione, dove i fondi d’investimento di questo tipo possono essere specializzati in un particolare settore (debt, equity, immobiliare/infrastrutture), oppure essere di tipo multi-asset, trattando tutte e tre le tipologie d’impiego.
Solitamente, i fondi dedicati ai private assets hanno orizzonti d’investimento prefissati (cinque o 10 anni, per esempio), durante i quali acquistano, sviluppano e poi vendono le loro attività suddividendo i guadagni tra i sottoscrittori: per questo gli investitori non possono vendere la loro quota o ritirare il capitale investito prima del termine indicato.
Dal punto di vista dell’investitore, l’attrattiva degli asset privati
deriva da diversi fattori: il rendimento nel medio-lungo periodo può essere superiore a quello offerto dagli investimenti tradizionali e caratterizzato da una volatilità non elevata, rispetto a quella degli asset quotati1; inoltre, offre un’efficace diversificazione di portafoglio rispetto alle azioni e ai bond.
Nonostante gli investimenti in private equity, private debt e infrastrutture/immobiliare siano stati tradizionalmente appannaggio di fondi d’investimento specializzati, o comunque di soggetti con un patrimonio netto molto elevato, da un po’ di anni è in atto una progressiva democratizzazione di questa forma efficace di diversificazione del capitale investito, grazie anche all’evoluzione normativa. L’immobilizzazione degli investimenti per un determinato numero di anni è forse la sfida più grande: per loro natura, gli impieghi nelle attività private sono molto meno liquidi degli investimenti finanziari tradizionali, smobilizzabili agevolmente senza patimenti di prezzo, mentre l’idea di immobilizzare il capitale per un periodo prolungato non è un processo familiare per molti piccoli investitori.
«Che si tratti di debito privato, infrastrutture, immobili o private equity, negli ultimi 20 o 30 anni gli asset privati hanno garantito rendimenti molto elevati», spiega Eric Deram, Socio Amministratore di Flexstone Partners, società specializzata in private equity affiliata a Natixis Im. «Li consideriamo un’ottima aggiunta a un portafoglio d’investimento diversificato di qualsiasi investitore sofisticato, quindi anche per l’investitore privato».