“Trading ad alta frequenza” così Angelo Deiana definiva il ruolo del sistema finanziario, in un recente articolo pubblicato dal nostro giornale (leggi articolo https://relazioninternazionali-tribuna.com/la-crisi-delle-banche-e-il-rischio-contagio/ )
e aggiungeva – “Si tratta di un mondo nuovo che ha implicazioni economiche e sociali di grande portata che trascendono le dinamiche del settore. Ecco perché, anche se i fondamentali del sistema bancario sono buoni, questo è il vero rischio di contagio che le banche corrono in questa fase, soprattutto sui mercati finanziari”.
Presidente di Confassociazioni che quest’anno compie 10 anni dalla sua costituzione e che rappresenta 753 organizzazioni professionali, Presidente di Anpib –Associazione Nazionale Private & Investment Bankers– e Presidente Ancp -Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali -, Deiana ha, al suo attivo, innumerevoli cariche nel settore istituzionale e privato ed è autore di molte pubblicazioni in campo economico-finanziario. Con il Presidente Deiana abbiamo approfondito il tema dell’attuale momento economico nazionale e internazionale.
Presidente, inflazione, aumento dei costi delle materie prime e dei tassi d’interesse insieme alla crisi economica che ci accompagna ormai da molto tempo. Quali prospettive nel breve-medio termine?
Oggi ci sono molte variabili globali difficili da governare come la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, ma crediamo, se guardiamo al piano più micro del nostro Paese, sia fondamentale un’accelerata agli investimenti (che vanno ancora a rilento) del Pnrr, soprattutto quelli sulla transizione digitale ed energetica. E puntare, su scala nazionale e internazionale, alla cooperazione e alla condivisione dei saperi. D’altra parte, ci siamo resi finalmente conto di cosa sono le filiere globali di un mondo che si sta sempre più amazonificando e in cui il costo del lavoro, le materie prime, il grano vengono provengono da posti diversi. E cosa succede per chi, come l’Italia, che è una grande specialista di trasformazione e di servizi, ma non ha quelle materie prime, quella forza lavoro, quel grano? Diventa necessario (oppure più conveniente) comprarlo fuori piuttosto che produrlo “in house” qualora possibile, magari a costi economici, ambientali e sindacali molto più alto. Per questo siamo profondamente scettici, rispetto alle spinte ricorrenti verso questa sorta di “reshoring” autarchico e il motivo è molto semplice. Si deve soltanto comprendere che, come tutte le altre manifestazioni straordinariamente importanti della nostra vita – la finanza, la vita stessa, il denaro – la globalizzazione va gestita secondo alcuni indispensabili criteri razionali e manageriali. Quali? Come sempre, diversificazione e risk management.
Inevitabilmente la situazione economica attuale ha portato al peggioramento della distribuzione della ricchezza e un impoverimento del ceto medio. Che cosa ne pensa?
Indubbiamente la situazione in cui viviamo è molto complessa su scala globale: le guerre che non tendono a diminuire, il nuovo aumento dei costi dell’energia e le speculazioni che si sono generate durante l’altra grande protagonista del nostro scorso biennio, ovvero la pandemia, hanno alimentato una serie di processi inflazionistici. Mentre l’inflazione americana è da domanda ed è alimentata dai 5,1 trilioni di dollari che prima Trump poi Biden hanno immesso sul loro mercato, quella europea è alimentata dai soldi messi a disposizione dalla Bce che sono circa 2 trilioni di euro, quota di gran lunga inferiore rispetto a quella oltreoceano. A ciò si aggiunge che in quota parte la nostra è una speculazione emulativa, determinata da numerosi soggetti che avendo avuto in pandemia una crisi profonda tendono, per emulazione, ad aumentare i propri prezzi. E questi diversi aumenti inappropriati rappresentano un pezzo di inflazione che i tassi non possono curare. E che inevitabilmente aumentano il divario tra il ricco, quello vero, e una classe sempre più povera con l’assottigliamento delle quote del ceto medio.
Il settore bancario fa la sua parte?
Negli ultimi tempi, il mondo ha assistito a un aumento dell’inflazione che ha scatenato preoccupazioni e incertezza nei mercati finanziari e nell’economia globale. In questo contesto, il sistema bancario e finanziario svolge un ruolo chiave nel modellare e influenzare la direzione della crisi economica da inflazione. D’altra parte, la pandemia, i lockdown e le misure di contenimento della pandemia stessa hanno causato interruzioni nella catena di approvvigionamento, portando a una scarsità di beni e materie prime. Questo squilibrio tra domanda e offerta ha spinto al rialzo i prezzi. Inoltre, i governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno implementato politiche di stimolo economico che hanno aumentato la domanda, alimentando ulteriormente l’inflazione. l sistema bancario e finanziario svolge un ruolo fondamentale nella gestione della crisi economica da inflazione. Le banche centrali devono bilanciare la necessità di mantenere stabile l’inflazione con quella di sostenere la crescita economica. Le istituzioni finanziarie devono gestire il rischio in un ambiente in continua evoluzione. Gli investitori devono essere attenti alle implicazioni dell’inflazione sulle proprie decisioni finanziarie. Alla fine, il successo nel superare questa crisi dipenderà dalla capacità delle istituzioni finanziarie, dei governi e degli individui di adattarsi in modo intelligente a un ambiente economico in rapido cambiamento. Ancora non abbiamo visto niente della trasformazione digitale prossima ventura.
Mercati finanziari, economia internazionale, deglobalizzazione. Quali scenari per il prossimo futuro?
Il mare che stiamo per attraversare sembra essere pronto per una nuova tempesta perfetta, anche più devastante di quelle pur difficilissime che abbiamo attraversato negli ultimi 15 anni. Per questo bisogna provare ad avere una visione limpida sull’economia nazionale e mondiale, sulla nuova la globalizzazione, sull’evidenza della speculazione sui costi energetici (e non solo). E ancora, sull’impossibilità, se non nei sogni e nelle favole, di un’autarchia economica. Una globalizzazione da gestire facendo rete, diversificando e gestendo il rischio. D’altra arte, c’è un primo principio da fissare. Abbiamo finalmente capito il valore della globalizzazione. Prima lo comprendevano in pochi. Adesso invece, con la pandemia prima e con la guerre attuali dopo, lo hanno compreso tutti. L’orizzonte è chiaro: ciò che dovrebbe essere perseguito, da tutto il sistema Italia è il “nice to have” possibile grazie al già affermato livello di maturità delle competenze professionali e digitali, dalle logiche di costruzione costante dei processi di redditività con infrastruttura tecnologica a supporto, dall’attenzione alla valorizzazione delle risorse umane in rete.
A livello internazionale siamo nel bel mezzo di una tempesta geopolitica. C’è bisogno di una rilettura dei processi d’integrazione europea?
La lezione che abbiamo imparato da pandemia e guerra è chiara. Servono pesi e contrappesi tra macro reti (in particolare le Big Tech e le Big Banks) e macro sistemi nazional/imperiali (Usa, Cina, Russia). Ma soprattutto è importante comprendere che, soprattutto per un Paese come l’Italia, si deve fare l’Unione Europea vera, non quella della Difesa che rimarrà sempre un aspetto di contorno sotto l’ombrello Usa, ma quella che porti a un ritorno verso il Mercato Comune Europeo, quello che è esistito fino al 1993, fino a Maastricht. Sarebbe importante tornare ad una dimensione in cui la realtà Ue negozi tutta insieme, con un’unica voce, il prezzo del gas, del petrolio, delle terre rare e di molte altre materie prime e merci. È quello che fanno, per altri versi, gli Stati Uniti con il loro spiccato federalismo sì, ma con norme e logiche federali che per alcuni temi sovrastano quelle dei singoli stati dell’Unione. Questo schema darebbe all’Europa la potenza di un mercato da 500 milioni di consumatori ricchi, perché è bene sottolinearlo, noi viviamo nel continente più ricco del mondo, rispetto ai 330 milioni degli Stati Uniti, rispetto ai 144 milioni della Federazione Russa, e anche rispetto al miliardo e 400 milioni della Cina che rimane, però, un Paese importantissimo nelle filiere globali. E dunque, ancora una volta, fare rete e diversificare per gestire i rischi.
L.R.
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