Le imprese italiane manifatturiere che avrebbero le carte in regola per esportare i propri prodotti all’estero, ma non lo fanno o lo fanno saltuariamente, sono circa 45mila. Portare sui mercati esteri queste imprese avrebbe un impatto sull’incremento dell’export manifatturiero di circa il 7%, corrispondente ad un aumento in valori assoluti stimabile intorno ai 45 miliardi di euro.
“L’Italia nel 2022 ha ottenuti grandissimi successi sui mercati internazionali, superando la soglia dei 600 miliardi di export, 100 miliardi in più del 2021 e 144 in più del 2019”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. “Rispetto al 2019, l’export dell’Italia è aumentato del 30%, cioè a una velocità quasi doppia rispetto a Germania (+18,3%) e Francia (+15,1%). Ma, per continuare a crescere, serve allargare la platea delle imprese esportatrici, supportando, come possono fare le Camere di commercio, soprattutto quelle piccole aziende che da sole farebbero fatica ad oltrepassare i confini nazionali”.
Come mostrano le stime di Unioncamere, le imprese esportatrici negli ultimi sono diminuite: dalle 127mila unità del 2016 si è scesi a 123mila nel 2019 (anno prima della crisi), con una contrazione del 3,3%, pari a 4mila imprese in meno. A ridursi, in realtà, è soprattutto il numero delle piccole imprese (-4,3%; -5.033 in valori assoluti) mentre sono aumentate le medio-grandi aziende (+7,7%; +881). Inoltre, le piccole imprese esportatrici (fino a 49 addetti) hanno anche una minore intensità di export rispetto alle esportatrici di più grande dimensione (50 addetti e oltre), con un gap del 35% in termini di valore di export per addetto: circa 82 mila euro contro 122 mila euro.